Press "Enter" to skip to content

Il tappeto di Nule: lavorazione e le regole non scritte delle tessitrici

condividi

Essendo la tessitura una delle attività artigianali più diffusa in tutta l’isola, si distingue prevalentemente dalle decorazioni (in sardo, mostras), suddivise in motivi geometrici, dei vegetali, del mondo animale, dei simboli araldici e delle figure mitologiche. Per la tessitura di tovaglie, tende e cuscini di lino si usa una

tecnica molto laboriosa chiamata a ranos (chicchi di grano) o a pibiones (acini d’uva) dove un filo più grosso di trama supplementare viene portato a rilievo formando gli anellini o pippiolini che formeranno il motivo decorativo.

Nule è famosa per i tappeti fatti a mano in lana sarda, un paese dove tessere in modo artigianale, secondo l’antica tecnica che utilizza il telaio verticale, è l’arte. Si producono tappeti in lana lavorati a tessitura liscia con motivi prevalentemente a fondo scuro, oppure il  tipico tappeto a fiamma.

A partire dai primi decenni del Novecento si ha l’introduzione dei colori.

Secondo la leggenda il moro Bolìn, invaghitosi di Milena, una giovane tessitrice di Nule, le propose di sposarlo, in cambio le avrebbe trasmesso il segreto per ottenere i colori dalle erbe. Milena accettò e Bolìn mantenne la promessa insegnando alla sua giovane sposa come usare le varie erbe naturali per tingere la lana.

Da un gesto d’amore nascono le caratteristiche e variopinte fiamme: disegni geometrici romboidali, dai colori vivaci.

La fiamma, rappresenta infatti sia l’ardore del sentimento che il focolare simbolo della famiglia.

Una volta era usanza che la famiglia preparasse il corredo per la figlia che prendeva marito, per poi riporlo in una cassapanca fatta appositamente fabbricare ed intarsiare dal “maistru de linna“, il maestro del legno. La cassapanca veniva protetta dal “coperibanga” o “copericascia“,  il copri-cassapanca o copri-cassa tessuto in lana. La stessa lavorazione sarà usata anche per tappeti, coperte, cuscini, arazzi e tende, rendendo di valore l’arredamento della futura domus.

Dopo la tosatura, la lana della pecora sarda viene lavata, asciugata al sole e cardata per poter essere lavorata al telaio. Quindi si procede alla tintura con colori di origine animale o vegetale (oggi si stanno affermando i colori chimici di più facile reperimento). Dall’erba Corsa (su trubiscu) si ottiene il nero, dal lentischio (su moddizzi) e dallo zafferano (su zaffaranu in sardo – famoso è lo zafferano di San Gavino) il giallo, dalla robbia (l’orixedda) il rosso, dal Guado (guado) il blu indaco e infine dal frassino (ollastu de arriu) il marrone. Questi alcuni dei colori vegetali.

Le regole non scritte delle tessitrici di Nule

La tessitura per le donne era parte della vita e non solo una semplice fonte di guadagno. Si imparava un modo di essere, oltre ad un modo di fare. Lo si deduce dalla quantità di regole e gesti simbolici che infine avrebbero garantito la buona riuscita del lavoro.

Tra i vari riti scaramantici che accompagnavano la realizzazione di un manufatto tessile vi era il divieto, per chiunque, di attraversare i fili dell’ordito tesi nella strada, poiché questa era considerata “un’azione del diavolo”.

Le donne che passavano, mentre si preparava l’ordito, dovevano offrirsi a dare una mano, come gesto di buon auspicio e impedire il malocchio (anche involontario), che ne avrebbe compromesso l’esito.

L’inizio di ogni gomitolo di lana, nella parte interna, conteneva sempre una caramella o qualche soldo (soprattutto nella lana usata per la dote) e quando li si trovava veniva diviso tra tutti.

La fine di ogni tappeto era un momento solenne sottolineato dalla recitazione del De Profundis, con cui si offriva il lavoro appena svolto per il bene delle anime dei defunti.

Su mendhu

Alla consegna del manufatto, oltre alla paga pattuita, la tessitrice riceveva su mendhu (anche mendu). Il termine deriva dal verbo mendare, ovvero riparare, emendare, correggere.

Il preziosissimo lavoro delle tessitrici aveva un valore che andava oltre il compenso pattuito e non si basava solo sulla semplice realizzazione del manufatto. Era frutto del sapere e dell’abilità di mani e braccia che andava, secondo la tradizione locale, ricompensato ulteriormente. Per questo si poneva riparo, al prezzo di mercato, con un ulteriore dono.

Questo dono voleva essere anche di buon auspicio per la tessitrice, affinché non perdesse mai la forza delle braccia. Forza necessaria per continuare a lavorare.

Su mendhu consisteva in un dono di varia natura (i pastori offrivano i prodotti del loro lavoro), ma essendo un gesto simbolico poteva consistere anche nella semplice offerta di un bicchiere d’acqua.

 

condividi