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Castello Acquafredda (Siliqua)

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A circa tre chilometri dal villaggio di Siliqua, in cima ad un con o vulcanico, nel versante meridionale, nel quale abbondano formazioni detritiche, sono i ruderi del Castello di frontiera di Acquafredda; la cinta muraria esterna, in alcune parti diroccata, protegge, a ridosso, avanzi di fabbricati presumibilmente destinati ad alloggiamenti, magazzini, stalle, frantoi, mulini e cisterne per l’acqua.

Ai piedi della collina, verso Est, sorge la ricostruita chiesa di Santa Barbara d’Acquafredda, donata ai monaci Vittorini di Marsiglia nel 1094 da Costantino, Regolo di Cagliari, e restano notevoli macerie, presumibili avanzi di un borgo. Il Tola nel suo Codex Diplomaticus Sardiniae (diplomi e carte del XII secolo) ritrascrisse documenti di grande importanza anche per il presente studio, documenti in cui citazione della esistenza della chiesa di Santa Barbara di Acquafredda fa sempre seguito la menzione del vicino borgo. Al borgo nel medioevo si associava sempre la protezione di una torre, se non addirittura di un castello. Anzi, proprio “burgi” sono chiamati i castelli di modeste dimensioni. Il vocabolo alcuni lo vogliono derivato dal greco, altri dal tedesco “burg”.

Dalla ricostruzione effettuata del complesso fortificato di Acquafredda e dall’esame dei documenti che ne riguardano il borgo, appare chiaro che questa denominazione si riferisce a quell’insieme di fabbricati posti immediatamente a ridosso delle mura di cinta nelle quali, inserite e distanziate, da trenta a cinquanta metri, compaiono le torri. Le due estreme sono andate completamente distrutte; quella al centro, ancora in piedi, presenta vaste brecce; ciò nonostante è possibile leggervi una struttura a tre piani con solai in legno. La torre ha pianta quadrata. Nella cortina muraria della cinta esterna, nel tratto compreso fra la torre anzi descritta e la torre sperone ormai distrutta, è rintracciabile nella struttura muraria in elevazione la presenza di merli di forma “guelfa”. In virtù del fatto che il Signore del Castello, Ugolino della Gherardesca, per ragioni politiche, da Ghibellino si fece Guelfo e diventò Signore di Pisa, è possibile dalla forma delle merlature arguire informazioni circa la datazione originaria del castello. Dal momento che mancano indicazioni precise sulla sua data di costruzione, la datazione può essere riportata al 1274-75, anni in cui il Conte Ugolino “guelfo” fu imprigionato e cacciato da Pisa per non aver pagato a quella repubblica il tributo dovuto per il possesso dei suoi feudi in Sardegna. Ma il Castello di Acquafredda potrebbe avere avuto una sua storia sotto Chiano Giudice d’Arborea negli anni precedenti la venuta in Sardegna di Ugolino e Gherardo della Gherardesca.

Continuando su quanto ancora rimane della costruzione del vero e proprio castello, questo, allo stato attuale, presenta ancora in elevazione le due facciate perimetrali a Sud e a Nord. Costruito per incorporare un torrione che doveva far corpo con il palazzo, esso mostra la struttura di due piani di elevazione, di una terrazza merlata e di un interrato formato da cisterne perfettamente intonacate. Sul fronte Est è un’ampia terrazza. L’accesso al castello era da due parti (uno a Nord e l’altro a Sud). A Nord si accedeva da una scalinata composta di 32 scalini in pietra lavorata, che termina in un pianerottolo posto a 3 m. dal piano terra del Palazzo, nel quale si poteva entrare solo con scale mobili o con un ponte levatoio a scale, come ho disegnato nella ricostruzione ideale del castello e per la quale mi sono basato sugli elementi costruttivi ancora oggi controllabili. Da sud si accedeva, mediante scala in pietra, ad una vasta terrazza-bastione, in parte naturale, dominante il lato Est-sud e Ovest della vallata sottostante. Il lato Nord è da considerarsi quindi l’ingresso principale del Palazzo che risulta essere stato a forma di U.

Esaminando il testo dell’inventario, datato Cagliari 7 luglio 1355, accosto all’ingresso era un corpo di guardia. L’arredamento del castello in epoca aragonese fu pressappoco quello che anche oggi si può trovare in un qualunque ambiente che ospiti soldati: tutto è ridotto alla essenzialità. Semmai, nel castello di Acquafredda, stando al contenuto dell’inventario succitato, vi erano elementi estranei alla vita militare: una cassapanca opera di artigianato sardo, per la conservazione di indumenti. Le mura del castello non presentano, all’interno del Palazzo, tracce di intonaco e ciò si spiega trovandosi queste strutture protette sotto tetto; le mura esterne invece trovandosi esposte alle intemperie ancora oggi conservano in buna parte ampie zone d’intonaco. La muratura costruita sulla falsariga della muraria romana listata è del tipo a sacco (ciottoli) lavorata a spina di pesce.

L’architettura, nel suo insieme, è di tipo romanico e come stile potrebbe comprendersi in quello di transizione (1180-1250). Nell’interno di quel che rimane del Palazzo manca qualunque segno di pianellatura, per quanto si sappia che in data 6 giugno 1407 occorsero circa 300 pianelle e due botti di calce portate dal sottostante borgo. Sono stati ritrovati viceversa notevoli quantità di cocci di coppi grezzi, usati forse per lo sgrondo ed il convogliamento delle acque piovane verso le bocche delle cisterne. Nello strombo delle feritoie, poste al piano terra ed al primo piano del castello, sono rintracciabili architravi di legno di ginepro, l’apertura dello strombo varia da m. 0,90 a m. 1,25, ampiezze da balestra a mano.

Esaminando la planimetria del castello ed aiutandosi con quanto enumerato nell’inventario del 1355, F. Fois ha potuto comprovare che questo si componeva di una cucina, di una camera per i serventi, di tre camere riservate al castellano ed alla sua famiglia, di una terrazza, di una camera per le corazze ed una per il magazzino. Nella parte esterna del castello, quella a Nord, all’altezza del secondo piano ed a sinistra della prima feritoia si distinguono cinque stemmi araldici di tipo sannitico. Nello scudo di centro è ancora visibile l’aquila imperiale (nel 1262 Ugolino della Gherardesca fu vicario di Re Enzo) che è anche simbolo ghibellino; lo scudo alla sua sinistra appare attraversato da una banda che va dal cantone destro del capo al cantone sinistro della punta occupando la “terza parte” dello scudo. Gli altri scudi appaiono scalpellati.

Nella torre, costruita a quota 200 circa, nell’asse di impluvio del colle, coronata di merli e feritoie, sono tre cisterne per la raccolta dell’acqua. Dette cisterne, di diversa capacità, hanno volta a botte e sono completamente intonacate. A quota 163 vi è una importante opera di ingegneria: una camera cisterna con volta a botte interrata, alta circa 4 m. Ha le pareti costruite per incorporarvi un cunicolo di mattoni alto m. 1,40 largo 70 cm. In cui l’acqua si decanta per filtraggio dalle pareti. Di fianco un pozzo terminante in basso con un gomito serve per pescare l’acqua decantata nel cunicolo. Questo notevole serbatoio con le altre cisterne per la raccolta dell’acqua costituiva il complesso di riserva idrica indispensabile alla vita delle truppe a guarnigione del colle fortificato. La possibilità di vita condizionata dall’acqua ben la conoscevano i comandi delle armate di conquista sia che fossero pisane, genovesi, aragonesi o sarde. Nelle alterne vicende di guerra egemonica degli Stati impegnati alla conquista di nuovi mercati il Castello di Acquafredda giuoca nella storia militare e nella politica un ruolo importante. 

fonte : https://www.icastelli.it/

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