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Sassari:L’umile calzolaio ” inaugurò” Caramasciu

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Anche per il Cimitero ci fu la solita guerra municipale fra Cagliari e Sassari. A Cagliari lo avevano costruito in due anni, dal 1827 al 1829. In quell’anno i cagliaritani avevano smesso di seppellire i loro morti nelle chiese. A Sassari ancora no, a parte il Gremio dei Massai, cui si riconosceva il diritto a farsi seppellire nella `loro’ chiesa di San Pietro di Silki. Quando il governatore e il viceré presero decisamente in mano la questione, era il 1836. Nell’aprile di quell’anno si affidò il compito di progettare il cimitero all’architetto Angelo Maria Piretto, e contemporaneamente si decise di insediare un cimitero `provvisorio’ nell’orto dei frati di Santa Maria, con l’ordine che chiunque morisse non fosse più trattenuto nei `depositi’ delle parrocchie e poi sepolto in chiesa, ma subito trasportato da quelle parti. L’orto, del resto, era così piccolo che, inaugurato (se mi si passa la parola) il 15 ottobre del 1836, già quatto mesi dopo veniva segnalato come insufficiente: c’erano rimaste soltanto 40 tombe ancora disponibili. Fu anche per questo motivo, forse, che dalle parti di Caramasciu, dove il nuovo cimitero doveva sorgere a fianco dell’antico convento dei Mercedari e della loro chiesa di San Paolo, si intensificò il lavoro. Il primo comparto fu aperto il 17 luglio 1837. E la data di nascita (se così si può dire) dell’attuale cimitero dei sassaresi. Il primo morto ad esservi sepolto fu il calzolaio Peppe Giacomedda. La gente stava con gli occhi aperti e le orecchie ritte, perché si mormorava che i ricchi, comunque fosse, continuavano ad essere sepolti nelle chiese. Enrico Costa racconta che proprio in quel 1837 si registrò il caso di tombe di `ricchi’ che venivano scoperchiate proprio per controllare che i ricchi defunti vi fossero stati deposti davvero. All’inizio, in una Sassari poverissima, le tombe furono molto semplici. Il primo monumento di pregio aristico, scrive Costa, «è quello in memoria di Donna Anna Maria Pilo, moglie a don Giorgio Alivesi, morta nel maggio 1846. Rappresenta la statua del dolore che piange sulla tomba dell’estinto: opera di stile classico, stupendamente modellata. Nel sotterraneo di questa tomba _ aggiungeva Costa nel 1909 _ è seppellito Don Pasquale Tola, ma nessun marmo finore fu apposto per ricordare il nome e le benemerenze dell’illustre storico sassarese». L’età d’oro del cimitero, se così si può dire, è quella fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. Il cosiddetto `cimitero monumentale’ (di cui una giovane studiosa, Maria Paola Dettori, ci ha dato qualche anno fa un intelligente inventario) nacque in quel periodo, anche se avrebbe continuato ad arricchirsi negli anni avvenire. In quella Sassari d’allora il culto dei morti e l’attenzione alle tombe erano parte integrante dela civiltà cittadina. Lo stesso Costa aveva inaugurato, nei suoi ultimi anni, una rubrica sulla `Nuova’ in cui, proprio nei giorni del mesto pellegrinaggio alle tombe dei propri cari, descriveva i nuovi monumenti funebri costruiti durante l’anno. Abitudine che fu continuata anche dopo la sua morte, se è vero che in una `Nuova’ dell’anno successivo si dà notizia di altri monumenti, fra cui spiccava quello dedicato alla famiglia del capitano di vascello Francesco Passino, scomparso a 47 anni, nel dicembre del 1908, nel terremoto di Messina. La sua tomba, opera di un artista importante come Arturo Dazzi, che aveva lavorato anche al Vittoriano di Roma, è ancora una delle più emozionanti del cimitero.

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