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I riti della settimana Santa: su lavabu

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Su lavabu

Nel pomeriggio, dopo l’omelia della Missa in Coena Domini, ha luogo la lavanda dei piedi.

Non vi sono pratiche paraliturgiche specifiche, poiché la messa in scena in ricordo dell’evento narrato nei Vangeli è prerogativa della liturgia ufficiale.

Nella prassi orientale era usanza offrire acqua all’ospite perché si lavasse i piedi impolverati dal viaggio.

Al termine della Cena Pasquale Gesù s’inginocchiò per lavare i piedi agli Apostoli. Fin dalle origini l’atto si prestò molto bene alla teatralizzazione poiché Gesù stesso ne richiese la reiterazione ai suoi discepoli: “Affinché come ho fatto io, facciate anche voi”.

La tradizione liturgica, di cui si hanno le prime testimonianze del V secolo, proviene così dalla Chiesa di Gerusalemme, dove veniva inteso come atto simbolico, provocatorio ed esemplare, che esprimeva il mandatum di Cristo. Il gesto fu accentuato nella tradizione monastica in riferimento all’accoglienza degli ospiti.

Entrò nella liturgia romana verso il VII secolo, quando assunse il significato di un atto di umiltà: lavare i piedi è la metafora di un umile e pratico amore verso il prossimo. È questa la lezione del Giovedì Santo.

La messa in scena è prerogativa del sacerdote, che si porta davanti ai dodici Apostoli, impersonati dai membri della Confraternita o dai chierichetti, versa l’acqua sui loro piedi e li asciuga

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