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La magia dei nuraghi e il loro potere terapeutico

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Articolo di Maria Lidia Contu.

Il filosofo greco Aristotele sosteneva che un tempo coloro che volevano essere curati dalle allucinazioni venivano sottoposti a un rito di incubazione presso le tombe degli eroi nuragici. Il malato veniva introdotto nel nuraghe che aveva tutte le caratteristiche funzionali al rito, trattandosi di un luogo chiuso che doveva conservare bene la salma dell’eroe e che doveva proteggere il dormiente durante l’incubazione. Una volta dentro, esso veniva indotto ad un sonno profondo dal quale si sarebbe risvegliato solo cinque ore dopo, completamente guarito e dimentico di tutto.

Per provocare il lungo sonno si utilizzavano delle sostanze naturali dall’effetto soporifero quali estratti di piante spontanee o di funghi  che venivano somministrati da sacerdoti o sacerdotesse che abitavano nelle capanne vicine ai nuraghi e che da lì sorvegliavano l’ammalato. Aristotele sosteneva che gli eroi a contatto dei quali veniva sottoposto l’ammalato erano i Tespiadi, antichi colonizzatori della Sardegna giunti nell’isola sotto la guida di Iolao. I tespiadi avrebbero fondato la città di Olbia e avrebbero trascorso il resto della loro vita in Sardegna dove sarebbero poi stati sepolti. Le salme dei tespiadi vennero imbalsamate e per questo motivo apparivano incorrotte anche dopo la loro morte.

Le tracce del rito di guarigione sono rimaste vive nel corso dei secoli, adattandosi di volta in volta ai diversi popoli e alle religioni sopraggiunte in Sardegna. Con l’avvento del cristianesimo i santi avevano assunto lo stesso valore degli eroi nuragici, per questo motivo si usava dormire nelle chiese per entrare in contatto col corpo del santo. Di tale pratica si trova traccia anche in tempi moderni. Infatti in alcune zone dell’isola negli anni ‘60 si usava far introdurre coloro che venivano colpiti da un attacco di epilessia dentro una camera mortuaria accanto al corpo di un defunto. Una donna che aveva il compito di celebrare il rito recitava delle formule affinché il male si trasferisse dall’ammalato al defunto.

Storia tratta dal libro: “101 storie sulla Sardegna che non ti hanno mai raccontato” di Gianmichele Lisai.

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